Emissioni azionarie e acquisti di azioni proprie

BIS Quarterly Review  |  March 2015  | 
18 marzo 2015

(Riquadro pubblicato alle pagine 17-19 del capitolo "Aspetti salienti dei flussi di finanziamento internazionali", Rassegna trimestrale BRI, marzo 2015) 

Negli ultimi anni le imprese non finanziarie hanno emesso ingenti quantitativi di azioni in termini lordi. Nel contesto di rialzo dei mercati azionari, le imprese delle quattro principali economie avanzate - Stati Uniti, area dell'euro, Giappone e Regno Unito - hanno raccolto $625 miliardi di nuovo capitale nel 2013-14, il 66% in più rispetto ai due anni precedenti (grafico A, diagramma di sinistra). Queste emissioni sono riconducibili per oltre la metà alle società non finanziarie statunitensi e per circa un quarto a quelle dell'area dell'euro. Le emissioni da parte di aziende già quotate (c.d. "follow-on") rappresentavano il 74% del totale (grafico A, diagramma centrale), le offerte pubbliche iniziali (IPO) il 26%, una percentuale analoga a quella dei due anni precedenti. Le società non finanziarie degli Stati Uniti si sono confermate leader nelle IPO, ma la loro quota è diminuita bruscamente, dal 70% circa di fine 2012 ad appena sotto il 50% a fine 2014 (grafico A, diagramma centrale, linea rossa); le imprese britanniche in particolare hanno invece guadagnato preminenza.

Sebbene le società non finanziarie statunitensi abbiano raccolto ingenti volumi di capitale fresco, in termini netti l'apporto di capitale è di fatto calato, poiché i riacquisti di azioni proprie o buyback hanno superato le nuove emissioni. In effetti, dopo un repentino aumento, nel 2014 i buyback si sono avvicinati al loro picco pre-crisi (grafico A, diagramma di destra, linea rossa). Nel biennio 2013-14 i riacquisti di azioni proprie sono stati pari a quasi $950 miliardi. Di conseguenza, il corrispondente capitale azionario si è ridotto in termini netti di almeno $610 miliardi (grafico A, diagramma di destra, linea blu). Questo dato, poi, è stimato per difetto, poiché deriva dal confronto fra il capitale totale raccolto dal settore aggregato delle società non finanziarie statunitensi (rilevato da Dialogic) e i riacquisti di azioni proprie delle sole società non finanziarie comprese nell'indice S&P 1500. Le statistiche ufficiali statunitensi sui flussi di fondi, che coprono tutte le società non finanziarie negli Stati Uniti e sono più ampie da un punto di vista metodologico, evidenziano in effetti un calo più pronunciato del capitale raccolto su base netta nel 2013-14 (grafico A, diagramma di destra, linea blu tratteggiata)1.

 
A partire dalla metà degli anni ottanta le imprese sono ricorse in misura crescente ai buyback, anziché al versamento di dividendi, quale forma di remunerazione del capitale2. Inizialmente tale scelta era motivata da considerazioni fiscali e dalla volontà di proteggersi da scalate ostili, sebbene i riacquisti di azioni proprie fossero utilizzati dalla direzione anche per segnalare la sottovalutazione dell'azienda3. Più di recente, tuttavia, i buyback si sono associati alle politiche di remunerazione della direzione, alla riduzione dei flussi di cassa liberi e a vere e proprie operazioni di sostegno al prezzo del titolo. Essi hanno ormai superato i dividendi aggregati quale forma principale di remunerazione del capitale negli Stati Uniti. Il ricorso attivo a queste operazioni in Europa è un fenomeno molto più recente. Malgrado la crescita più rapida registrata nell'arco dell'ultimo decennio, il valore dei riacquisti di azioni proprie delle aziende europee equivale ancora a una piccola parte di quello delle omologhe statunitensi. L'importo totale dei buyback di società non finanziarie comprese negli indici generali del mercato azionario per l'area dell'euro, il Regno Unito e il Giappone era pari a $145 miliardi nel 2013-14 (grafico A, diagramma di destra), appena un settimo di quello delle società statunitensi. Il 30% circa dei riacquisti totali di azioni proprie negli Stati Uniti era riconducibile ai colossi dell'informatica, come Apple, IBM, Cisco, Oracle e Microsoft (grafico A, diagramma di destra).

 
I boom dei riacquisti di azioni proprie negli Stati Uniti si sono di norma verificati in concomitanza con impennate delle emissioni obbligazionarie nette, a indicare che sono stati finanziati almeno in parte da tali emissioni. Negli ultimi 15 anni ve ne sono stati due, uno nel 2° trimestre 2002-2° trimestre 2007 e uno nel 1° trimestre 2009-4° trimestre 2014 (grafico B, diagrammi di sinistra e centrale). Durante entrambi gli episodi le emissioni obbligazionarie nette sono andate di pari passo con i buyback totali (linee blu e rossa) e sono state favorite da tassi di interesse bassi o in calo (grafico B, diagramma di destra). Nel complesso, il grafico B indica che quando i costi di finanziamento mediante emissione di debito sono favorevoli e i mercati azionari in rialzo, le imprese non finanziarie statunitensi ricorrono massicciamente all'emissione di obbligazioni e utilizzano parte dei ricavi per finanziare riacquisti di azioni proprie. Durante il 2009-14 l'importo medio trimestrale delle emissioni obbligazionarie nette è stato quasi doppio rispetto a quello del precedente boom (grafico B, diagrammi di sinistra e centrale, linee blu tratteggiate). In questo periodo le società non finanziarie statunitensi hanno riacquistato $2 100 miliardi di azioni proprie e collocato su base netta $1 800 miliardi di obbligazioni, a fronte di $1 300 miliardi e $850 miliardi rispettivamente nel 2002-07.

 

1 Il calcolo qui effettuato non tiene conto degli effetti (positivi) sulle emissioni nette prodotti dall'esercizio di stock option né di quelli (negativi) prodotti da fusioni e acquisizioni finanziate mediante debito o mezzi liquidi. Gli effetti del secondo tipo sono probabilmente all'origine del maggiore calo delle emissioni nette di azioni riportato dalle statistiche statunitensi sui flussi di fondi. 

2 Cfr. BCE, "Operazioni di riacquisto di azioni proprie nell'area dell'euro", Bollettino mensile, maggio 2007, pagg. 107-115; e D. Skinner, "The evolving relation between earnings, dividends, and stock repurchases", Journal of Financial Economics, vol. 87, 2008, pagg. 582-609. 

3 Sull'ipotesi della "segnalazione", cfr. T. Vermaelen, "Common stock repurchases and market signalling", Journal of Finance, vol. 53, 1981, pagg. 139-183.