Relazione annuale BRI 2015 - briefing stampa

Dichiarazioni on-the-record rilasciate da Claudio Borio, Capo del Dipartimento monetario ed economico, il 24 giugno 2015

Proprio non si direbbe a giudicare dalla costante frenesia dei mercati finanziari e dal perenne bailamme mediatico che l'accompagna. Ma il tempo economico procede lentamente, molto più lentamente. Gli andamenti che contano davvero, quelli che incidono sulla nostra vita, si sviluppano su periodi lunghi. Il tempo economico andrebbe misurato in anni o in decenni, non in minuti o in microsecondi.

Un anno è passato, e l'economia mondiale non è molto lontana da dove l'avevamo lasciata nel giugno scorso. Certo, il marcato apprezzamento del dollaro, dovuto soprattutto alle divergenze effettive e prospettiche degli orientamenti monetari, ha generalmente avvantaggiato le economie più deboli a scapito di quelle più forti. E la flessione dei prezzi del petrolio, ancor più marcata, ha nel complesso favorito la crescita mondiale e accresciuto temporaneamente le pressioni disinflazionistiche - una sorpresa insperata. Di conseguenza, la crescita ha recuperato terreno e si è attestata su livelli prossimi a quelli storici. Ma resta sbilanciata. Gli oneri debitori e i rischi finanziari sono ancora troppo elevati, la crescita della produttività troppo bassa e il margine di manovra delle politiche macroeconomiche troppo limitato. Malgrado i progressi compiuti, l'economia mondiale fatica ancora a scrollarsi completamente di dosso il malessere post-crisi.

Il sintomo più visibile di tale malessere è la persistenza di tassi di interesse bassissimi. Da un periodo eccezionalmente lungo, ormai, i tassi di interesse risultano straordinariamente bassi in base a qualunque parametro. Per giunta, i rendimenti negativi in alcuni mercati del debito sovrano, semplicemente senza precedenti, hanno esteso i confini dell'impensabile. La recente inversione di rotta dei mercati non cambia fondamentalmente la situazione.

I tassi così bassi da così tanto tempo riflettono la risposta data all'insolita debolezza della ripresa post-crisi dalle banche centrali e dagli operatori di mercato, che brancolano nel buio alla ricerca di nuove certezze. Essi sono una vivida testimonianza di fino a che punto la politica monetaria sia stata sovraccaricata nel tentativo di rilanciare la crescita. E sono alla base della contraddizione fra l'assunzione di rischio elevata nei mercati finanziari, dove può essere dannosa, e quella modesta nell'economia reale, dove invece ci sarebbe grande bisogno di nuovi investimenti. Infine, nel più lungo periodo, rischiano di indebolire il settore finanziario e l'attività economica, ostacolando decisioni di investimento razionali e consolidando la dipendenza dal debito.

La Relazione annuale di quest'anno prosegue il discorso iniziato in quella precedente, offrendo una chiave analitica che possa far luce su ciò che sta accadendo e su quali potrebbero esserne le conseguenze. Lo fa concentrandosi sui fattori finanziari, di medio periodo e internazionali, in opposizione alla prospettiva dominante, maggiormente incentrata sui fattori reali, di breve periodo e interni. Essa sostiene che l'attuale malessere potrebbe riflettere in misura considerevole la scarsa comprensione di come gli andamenti finanziari interagiscono con il prodotto e l'inflazione in un'economia globalizzata. Da qualche tempo ormai, tanto nelle economie avanzate quanto nelle economie emergenti, le politiche economiche si sono dimostrate inefficaci nel prevenire la formazione e il tracollo di squilibri finanziari estremamente dannosi, che hanno lasciato profonde cicatrici nel tessuto economico e reso più complesso il ribilanciamento a livello mondiale.

Visti da tale angolazione, i tassi di interesse bassissimi prevalsi così a lungo potrebbero non essere quelli "di equilibrio", propizi a un'espansione mondiale sostenibile ed equilibrata. Anziché un semplice sintomo dell'attuale debolezza, essi ne sarebbero una delle concause, avendo alimentato onerosi cicli finanziari di boom e bust e ritardato l'aggiustamento. Le conseguenze sono un debito eccessivo, una crescita insufficiente e tassi di interesse troppo bassi. In sintesi, il basso livello dei tassi tende a perpetuarsi.

Oltre a fornire un aggiornamento degli sviluppi, la Relazione annuale approfondisce in particolare quattro temi già trattati lo scorso anno.

Primo, esamina più attentamente la relazione fra cicli finanziari e produttività. Al riguardo, mostra che i boom finanziari, distorcendo l'allocazione delle risorse, possono drenare produttività sia nel momento in cui si sviluppano, sia a seguito della crisi che lasciano dietro di sé. È questo un altro canale, finora sottovalutato, attraverso il quale la sfera finanziaria invade quella dell'economia reale.

Secondo, la Relazione esamina più attentamente le vulnerabilità nelle economie emergenti. Non vi è dubbio che sotto vari aspetti queste economie si trovino in condizioni migliori che negli anni ottanta e novanta, quando dovettero far fronte a crisi scatenate dall'inasprimento delle condizioni finanziarie internazionali. Ciò nonostante, occorre cautela, considerati i segnali di un accumulo di squilibri finanziari negli ultimi anni. Inoltre, se dovessero effettivamente prodursi tensioni, il loro impatto sul resto del mondo sarebbe molto maggiore che in passato, perché nel frattempo il peso delle economie emergenti è cresciuto notevolmente.

Terzo, un capitolo della Relazione è dedicato ai punti deboli del sistema monetario e finanziario internazionale. Anziché promuovere una crescita mondiale sostenibile e bilanciata, l'attuale sistema rischia di comprometterla, avendo trasmesso le condizioni monetarie e finanziarie eccezionalmente distese a paesi che non ne avevano bisogno, e acuito così le loro vulnerabilità. Paradossalmente, la propensione all'allentamento nel breve periodo potrebbe rivelarsi contrattiva a più lungo termine, al momento della correzione degli squilibri finanziari.

Infine, la Relazione analizza più da vicino gli andamenti nel settore finanziario non bancario. Di fronte al disimpegno delle banche dopo la crisi, i rischi sono migrati verso altre parti del sistema finanziario. I tassi persistentemente ed eccezionalmente bassi hanno esacerbato questo fenomeno, indebolendo la situazione finanziaria di compagnie di assicurazione e fondi pensione e incoraggiando la caccia al rendimento, in parte veicolata dal settore in pieno sviluppo dell'asset management. Questi rischi vanno monitorati e gestiti attentamente.

Se la diagnosi è corretta, per promuovere una crescita mondiale solida e sostenibile occorre un triplo ribilanciamento nell'impostazione delle politiche: da interventi illusori di aggiustamento macroeconomico di breve periodo verso strategie di medio periodo; da un'attenzione spropositata agli andamenti a breve del prodotto e dell'inflazione verso una risposta più sistematica ai cicli finanziari, per loro natura più lenti; da una visione riduttiva per cui basta mantenere in ordine la propria casa, verso una visione globale che riconosca i costi dell'interazione fra politiche orientate esclusivamente all'interno. Una stabilità monetaria e una stabilità finanziaria durevoli a livello internazionale sono due facce della stessa medaglia.

In questo processo di ribilanciamento sarà essenziale affidarsi meno alle politiche di gestione della domanda e più a quelle strutturali, con l'obiettivo di abbandonare il modello di crescita trainata dal debito che ha agito da surrogato politico e sociale di riforme orientate all'aumento della produttività. L'opportunità offerta dalla flessione dei corsi petroliferi non va sprecata. Da troppo tempo ormai la politica monetaria è stata sovraccaricata. Essa deve essere parte della soluzione, non può essere l'unica soluzione.

Spostare l'enfasi dal breve al più lungo periodo è oggi quanto mai importante. I mercati finanziari hanno compresso i tempi di reazione e le autorità hanno rincorso sempre più da vicino i mercati, in quella che è divenuta una relazione sempre più stretta e autoreferenziale. Ciò si è verificato proprio mentre l'emergere di cicli lenti di boom e bust finanziari ha allungato i tempi in cui si sviluppano gli andamenti economici che contano davvero. È questa combinazione di tempi economici più lunghi e orizzonti più brevi che contribuisce in definitiva a spiegare le circostanze in cui ci troviamo, e come l'impensabile possa diventare ordinario prima ancora che ce ne rendiamo conto. Non dovremmo permettere che ciò accada.