Rassegna trimestrale BRI dicembre 2014 - Il dinamismo dei mercati nasconde fragilità?

Comunicato stampa  | 
07 dicembre 2014
  • L'atteggiamento altalenante dei mercati finanziari in relazione al rischio fa ritenere che dietro l'attuale euforia si nascondano fragilità.
  • L'attività bancaria internazionale è cresciuta nella prima metà del 2014, recuperando parte del terreno perduto nei due anni precedenti.
  • La Cina è oggi di gran lunga la prima destinataria del credito bancario internazionale fra le economie emergenti, e la settima a livello mondiale.
  • Un numero crescente di contratti CDS è compensato centralmente. Ciò dovrebbe ridurre il rischio di controparte.
  • Il debito delle imprese non finanziarie delle economie emergenti potrebbe avere un profilo di rischio assai diverso a seconda che sia emesso tramite controllate estere finanziarie o non finanziarie.
  • Il comovimento dei tassi di cambio è la principale determinante della denominazione valutaria delle riserve. Le dimensioni di un'economia, da sole, sono meno rilevanti, sostengono Robert McCauley e Tracy Chan della BRI.
  • Le tranche mezzanine potrebbero non essere facili da valutare, anche qualora le attività cartolarizzate siano semplici e trasparenti. Ciò rende necessari presidi regolamentari contro il rischio di sottocapitalizzazione, concludono Adonis Antoniades e Nikola Tarashev della BRI.
  • Negli ultimi dieci anni le banche commerciali hanno registrato profitti più stabili e una maggiore efficienza di costo rispetto a istituti maggiormente orientati ai mercati dei capitali, rilevano Rungporn Roengpitya (Bank of Thailand), Nikola Tarashev e Kostas Tsatsaronis (entrambi della BRI).
  • Stefan Avdjiev, Michael Chui e Hyun Song Shin della BRI rintracciano i flussi transfrontalieri di capitali delle EME che potrebbero segnalare un crescente trasferimento dei fondi raccolti mediante affiliate offshore.

Sintesi dei capitoli

Il dinamismo dei mercati nasconde fragilità?

I mercati rimangono euforici nonostante il picco di metà ottobre della volatilità di gran parte delle classi di attivi. Tale netto ridimensionamento della propensione al rischio rifletteva la crescente incertezza per le prospettive dell'economia mondiale e l'orientamento della politica monetaria, nonché l'accentuarsi delle tensioni geopolitiche. Con l'intensificarsi delle pressioni in vendita, la liquidità di mercato si era temporaneamente prosciugata, amplificando i movimenti dei mercati.

I mercati si sono ripresi rapidamente allorché sono venuti meno i timori per l'economia e alcune delle maggiori banche centrali hanno ulteriormente allentato la politica monetaria. In particolare, la Bank of Japan e la BCE hanno impartito nuovi stimoli, mentre la Federal Reserve ha messo fine agli acquisti di attività finanziarie nell'ambito del terzo programma di allentamento quantitativo (QE3). Queste mosse opposte hanno scosso i tassi di cambio, portando a un apprezzamento del dollaro nei confronti di gran parte delle valute.

Il rapido cambiamento di umore dei mercati e il loro atteggiamento ondivago nei confronti del rischio fanno ritenere che dietro l'attuale euforia si nascondano non poche fragilità.

Aspetti salienti delle statistiche internazionali BRI

L'attività bancaria internazionale è cresciuta per il secondo trimestre consecutivo fra aprile e giugno, recuperando parte del terreno perduto nel 2012 e nel 2013. Grazie al più recente aumento trimestrale, il tasso di crescita annuo delle attività transfrontaliere è salito all'1,2% nell'anno terminato a fine giugno 2014, muovendosi per la prima volta in territorio positivo dall'ultimo periodo del 2011.

Le attività transfrontaliere delle banche verso le economie emergenti hanno proseguito la ripresa dal "taper tantrum" di metà 2013. Gli aumenti nel trimestre in esame sono affluiti soprattutto all'Asia e in particolare - ancora una volta - alla Cina. Gli impieghi transfrontalieri verso i prenditori dell'Europa emergente sono invece diminuiti, specie nel caso di Russia, Ungheria e Ucraina.

La Cina è oggi di gran lunga la prima destinataria del credito bancario internazionale fra le economie emergenti. A fine giugno 2014 le attività transfrontaliere in essere verso i residenti cinesi ammontavano a $1 100 miliardi, a fronte di $311 miliardi verso il Brasile e poco più di $200 miliardi verso sia la Corea sia l'India. A livello mondiale la Cina si colloca al settimo posto, appena dopo i Paesi Bassi ma subito prima del Giappone.

Le posizioni in derivati OTC sono lievemente diminuite nella prima metà del 2014. Il valore nozionale dei contratti in essere è sceso a $691 000 miliardi a fine giugno, dai $711 000 miliardi di fine 2013. Il loro valore lordo di mercato, che misura il costo di sostituzione dell'insieme dei contratti ai prezzi di mercato alla data di segnalazione, è sceso a $17 000 miliardi, dai $19 000 miliardi di fine 2013.

La compensazione accentrata si è ulteriormente diffusa nel mercato dei CDS: a fine giugno 2014 risultava compensato centralmente il 27% dei contratti totali (in termini di valore nozionale in essere), in rialzo dal 23% di un anno prima.

La classificazione per settori delle affiliate estere delle società non finanziarie delle economie emergenti potrebbe far luce sul profilo di rischio del debito offshore di tali società. Rispetto alle affiliate puramente finanziarie, infatti, è più probabile che quelle non finanziarie svolgano attività diverse dall'offerta di fondi alla casa madre. La ripartizione tra controllate finanziarie e non finanziarie varia considerevolmente a seconda dei paesi e dei settori; le società finanziarie di India e Cina, ad esempio, effettuano gran parte delle emissioni mediante controllate non finanziarie, mentre l'opposto si osserva per le società brasiliane e coreane. Le imprese del settore del petrolio e del gas naturale sono quelle che più si avvalgono di affiliate finanziarie.

Articoli monografici

I movimenti valutari determinano la composizione delle riserve*

Da molti anni ormai quasi due terzi delle riserve valutarie mondiali sono denominati in dollari USA, mentre la quota dell'economia statunitense sul prodotto mondiale è scesa a meno di un quarto. Come mai la quota del dollaro sulle riserve mondiali rimane così elevata? Robert McCauley e Tracy Chan della BRI sostengono che la soluzione di questo rompicapo non vada ricercata nelle dimensioni dell'economia statunitense, bensì nella quota del prodotto mondiale riconducibile ai paesi che presentano tassi di cambio relativamente stabili nei confronti della moneta americana, ossia alla cosiddetta "zona del dollaro".

I gestori delle riserve, infatti, possono stabilizzare il valore delle riserve espresso nella moneta nazionale investendo le riserve nelle valute con un tasso di cambio relativamente stabile nei confronti di tale moneta. A questo riguardo, l'evidenza mostra che laddove le oscillazioni della moneta nazionale nei confronti del dollaro sono meno pronunciate di quelle nei confronti di altre valute di riserva, i paesi detengono effettivamente una considerevole quota del portafoglio di riserve in dollari. McCauley e Chan stimano che la zona del dollaro rappresenti il 50-60% del prodotto mondiale, una quota grosso modo analoga a quella del dollaro all'interno delle riserve.

In prospettiva, questi risultati indicano che variazioni nel comovimento fra valute potrebbero dare luogo a cambiamenti più rapidi del previsto nella composizione delle riserve ed erodere potenzialmente il ruolo del dollaro. Al contrario, le mere dimensioni di un'economia potrebbero avere una rilevanza ridotta.

Cartolarizzazioni: suddivisione in tranche e concentrazione dell'incertezza*

Nell'ultimo decennio si è assistito alla spettacolare parabola di ascesa e declino del mercato delle cartolarizzazioni, che più di recente ha dato segni di una timida ripresa. Questa evoluzione è dipesa in gran parte dalle sorti alterne delle cartolarizzazioni suddivise in tranche con diverso grado di prelazione. Inizialmente, tali strutture erano apparse altamente appetibili per gli investitori alla ricerca di rendimento e per le banche desiderose di ridurre il patrimonio di vigilanza mediante la cessione di tranche attentamente selezionate. Ma la crisi finanziaria ha dimostrato che la rischiosità di alcune tranche era stata grossolanamente sottovalutata, e che anche le stime più accurate del rischio possono essere soggette a considerevole incertezza.

In questo articolo Adonis Antoniades e Nikola Tarashev (BRI) mostrano che l'incertezza insita nelle valutazioni del rischio si concentra nelle tranche intermedie, o mezzanine. Ciò vale anche nel caso in cui le attività sottostanti siano semplici, trasparenti e di elevata qualità. Tale incertezza deriva dal cosiddetto "cliff effect", ossia dalla possibilità che errori anche piccoli nelle stime dei parametri di rischio si traducano in errori sproporzionatamente grandi nella valutazione del rischio delle tranche mezzanine.

Secondo Antoniades e Tarashev, ciò rende necessaria la predisposizione di presidi particolarmente ampi a tutela dal rischio di sottocapitalizzazione di tali tranche. I requisiti patrimoniali a fronte delle tranche mezzanine, pertanto, dovrebbero essere molto più elevati di quelli applicati al pool di attività sottostanti.

I modelli di business delle banche*

Il modello di business prescelto influisce in maniera rilevante sui risultati e sul rischio di una banca. Rungporn Roengpitya della Bank of Thailand e Nikola Tarashev e Kostas Tsatsaronis della BRI adottano un approccio data-driven, individuando tre modelli di business distinti: banca commerciale con raccolta al dettaglio, finanziata principalmente da depositi; banca commerciale con raccolta all'ingrosso; banca orientata ai mercati dei capitali, con forte attività di negoziazione. Gli autori riscontrano che i risultati reddituali delle banche commerciali finanziate al dettaglio sono sistematicamente più stabili di quelli delle altre banche. Le banche commerciali finanziate all'ingrosso risultano tuttavia più efficienti in termini di costo.

Gli autori rilevano inoltre che il profilo delle banche può cambiare nel tempo. Mentre prima della crisi le banche si erano avventurate in modelli di business poi rivelatisi più rischiosi, dopo la crisi i modelli di business si sono evoluti soprattutto verso il profilo di banca commerciale.

Imprese non finanziarie delle economie emergenti e flussi di capitali*

Le imprese non finanziarie delle economie emergenti si sono massicciamente indebitate mediante l'emissione di titoli, collocati in gran parte tramite affiliate offshore. In questo studio investigativo, Stefan Avdjiev, Michael Chui e Hyun Song Shin della BRI analizzano i dati di bilancia dei pagamenti per scoprire come questi fondi siano stati trasferiti al paese della casa madre.

Gli autori individuano tre canali principali: il prestito diretto alla casa madre (flussi intra-societari), il credito a imprese non collegate (flussi inter-societari) e il deposito transfrontaliero (flussi di deposito societari). Analizzando le voci nascoste all'interno delle ampie categorie degli investimenti diretti e degli investimenti di altro tipo, essi mostrano che i flussi di capitali transitati per tutti questi tre canali sono considerevolmente aumentati negli ultimi anni, parallelamente all'impennata delle emissioni offshore. Per alcuni paesi i prestiti intra-societari rappresentano una quota significativa degli investimenti diretti dall'estero. Ciò fa dubitare della stabilità dei flussi di investimenti diretti, specie nei casi in cui tali flussi siano dettati da considerazioni finanziarie anziché produttive.


* Gli articoli firmati rispecchiano le opinioni degli autori e non necessariamente il punto di vista della BRI.